martedì 8 aprile 2014

L'autismo infantile: dalla diagnosi al trattamento

 di Angela Ganci, psicologa, psicoterapeuta e giornalista

     L'autismo infantile è una grave patologia neurologica, presente dalla prima infanzia, che compromettere differenti ambiti di funzionamento della persona. 

Innanzitutto, sono presenti deficit nelle abilità comunicative e relazionali (ridotto interesse nella condivisione di interessi ed emozioni, anomalie nel linguaggio del corpo, fino alla totale mancanza di espressività facciale e gestualità, apparente mancanza di interesse verso le persone). Sono poi presenti comportamenti e attività ristretti e ripetitivi (linguaggio ripetitivo ed eccentrico, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti o eccessivo interesse per parti di essi). 
Secondo l’Osservatorio Autismo della Regione Lombardia, il fenomeno riguarda 4,5 casi per 10.000 bambini, cifra che sale a 7 su 10.000 nella fascia della scuola elementare, coinvolgendo i maschi quattro volte più delle femmine. 

Le cause del disturbo non sono ancora note. Tra le più studiate si ricordano la predisposizione genetica (il 60% dei gemelli omozigoti sono entrambi affetti dalla patologia), le anomalie in alcune aree cerebrali (amigdala, cervelletto, ippocampo) e in alcuni neurotrasmettitori (serotonina). Come per ogni disturbo che coinvolge intere aree del funzionamento individuale, l’arma più preziosa resta la diagnosi precoce, formulata di solito tra i 24 e i 36 mesi. 

La precocità della diagnosi è direttamente proporzionale al successo terapeutico e cruciale è il ruolo dei genitori nell’identificazione dei primi sintomi. Sono loro infatti i primi a poter rilevare alcuni “campanelli d’allarme”, non sottovalutando, già a partire dai primi mesi di vita, quando il piccolo: 
  • Non risponde al proprio nome, anche se pronunciato da persone familiari.
  • Non indica e non saluta con la mano.
  • Non riesce a manifestare l’affetto o a riceverlo.
  • Preferisce giocare da solo.
  • Si attacca troppo ad alcuni giocattoli o oggetti.
  • Non pronuncia nessuna parola entro i 16 mesi. 
Non esiste ad oggi una cura sicuramente efficace per l’autismo; tanti i metodi che si sono dimostrati efficaci, e che variano da caso a caso. L’utilizzo dei farmaci (antidepressivi, antiepilettici) ha come obiettivo ridurre o eliminare comportamenti problematici quali aggressività, autolesionismo e iperattività, secondari alle patologie spesso associate (epilessia o deficit di attenzione). I criteri di utilizzo sono improntati all’efficacia sui comportamenti disfunzionali e all’assenza di effetti collaterali gravi. 
 
I trattamenti psicoterapeutici seguono diversi orientamenti teorici: per esemplificare si tratterà il metodo ideato da Lovaas (1987). Esso mira a costruire repertori comportamentali funzionali, riducendo quelli problematici, e affida il loro insegnamento ai genitori, in contesti naturali, come casa e scuola, evitando così l’ospedalizzazione. E’ previsto l’insegnamento sistematico di comportamenti via via più complessi, partendo da azioni semplici, come il mangiare da soli, fino ad abilità più complesse, come l’identificazione e l’espressione dei sentimenti propri e altrui, presupposti per lo sviluppo dell’intenzionalità (capacità di sperimentare che le proprie azioni influenzano il comportamento altrui). Ciascun comportamento viene suddiviso in piccoli passi; può poi essere aggiunto un aiuto (per esempio porre la propria mano sopra quella del bambino che tiene il cucchiaio che sta portando alla bocca), che man mano si elimina per favorire l’apprendimento autonomo. Bisogna sempre rinforzare il comportamento corretto, attraverso elogi, diminuendone la frequenza e l’intensità man mano che l’esecuzione migliora. Secondo i dati delle ricerche, il metodo Lovaas favorisce l’aumento del funzionamento intellettivo e per alcuni bambini ciò significa il raggiungimento di un normale funzionamento sociale. Solo una piccola percentuale (circa il 10%) non sembra invece ottenere miglioramenti. L’età è una variabile da considerare: i migliori risultati si hanno per bambini che cominciano il trattamento a due o tre anni. La spiegazione viene dalle neuroscienze: un cervello giovane possiede un’elevata plasticità e, quando le connessioni tra i neuroni sono più modificabili, l’interazione con l’ambiente, ottenuta attraverso un intervento intensivo precoce, riesce a migliorare il “destino” del futuro adattamento alla realtà.

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