di Angela Ganci, psicologa, psicoterapeuta e giornalista
L'autismo infantile è una
grave patologia neurologica,
presente dalla prima infanzia,
che compromettere differenti ambiti di
funzionamento della persona.
Innanzitutto, sono presenti deficit nelle
abilità comunicative e relazionali (ridotto
interesse nella condivisione di interessi ed
emozioni, anomalie nel linguaggio del corpo,
fino alla totale mancanza di espressività
facciale e gestualità, apparente mancanza
di interesse verso le persone).
Sono poi presenti comportamenti e attività
ristretti e ripetitivi (linguaggio ripetitivo ed
eccentrico, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti
o eccessivo interesse per parti di essi).
Le cause del disturbo non sono ancora
note. Tra le più studiate si ricordano la
predisposizione genetica (il 60% dei
gemelli omozigoti sono entrambi affetti
dalla patologia), le anomalie in alcune
aree cerebrali (amigdala, cervelletto,
ippocampo) e in alcuni neurotrasmettitori
(serotonina).
Come per ogni disturbo che coinvolge intere
aree del funzionamento individuale, l’arma
più preziosa resta la diagnosi precoce,
formulata di solito tra i 24 e i 36 mesi.
La precocità della diagnosi è direttamente
proporzionale al successo terapeutico
e cruciale è il ruolo dei genitori
nell’identificazione dei primi sintomi. Sono
loro infatti i primi a poter rilevare alcuni
“campanelli d’allarme”, non sottovalutando,
già a partire dai primi mesi di vita, quando
il piccolo:
- Non risponde al proprio nome, anche se pronunciato da persone familiari.
- Non indica e non saluta con la mano.
- Non riesce a manifestare l’affetto o a riceverlo.
- Preferisce giocare da solo.
- Si attacca troppo ad alcuni giocattoli o oggetti.
- Non pronuncia nessuna parola entro i 16 mesi.
Non esiste ad oggi una cura sicuramente
efficace per l’autismo; tanti i metodi che si
sono dimostrati efficaci, e che variano da
caso a caso.
L’utilizzo dei farmaci (antidepressivi,
antiepilettici) ha come obiettivo ridurre o
eliminare comportamenti problematici quali
aggressività, autolesionismo e iperattività,
secondari alle patologie spesso associate
(epilessia o deficit di attenzione).
I criteri di utilizzo sono improntati
all’efficacia sui comportamenti disfunzionali
e all’assenza di effetti collaterali gravi.
I trattamenti psicoterapeutici seguono diversi
orientamenti teorici: per esemplificare si
tratterà il metodo ideato da Lovaas (1987).
Esso mira a costruire repertori
comportamentali funzionali, riducendo quelli
problematici, e affida il loro insegnamento
ai genitori, in contesti naturali, come casa
e scuola, evitando così l’ospedalizzazione.
E’ previsto l’insegnamento sistematico
di comportamenti via via più complessi,
partendo da azioni semplici, come il mangiare
da soli, fino ad abilità più complesse,
come l’identificazione e l’espressione dei
sentimenti propri e altrui, presupposti per
lo sviluppo dell’intenzionalità (capacità
di sperimentare che le proprie azioni
influenzano il comportamento altrui).
Ciascun comportamento viene suddiviso
in piccoli passi; può poi essere aggiunto
un aiuto (per esempio porre la propria
mano sopra quella del bambino che tiene
il cucchiaio che sta portando alla bocca),
che man mano si elimina per favorire
l’apprendimento autonomo. Bisogna sempre rinforzare il comportamento
corretto, attraverso elogi, diminuendone
la frequenza e l’intensità man mano che
l’esecuzione migliora.
Secondo i dati delle ricerche, il metodo
Lovaas favorisce l’aumento del funzionamento
intellettivo e per alcuni bambini ciò
significa il raggiungimento di un normale
funzionamento sociale.
Solo una piccola percentuale (circa il 10%)
non sembra invece ottenere miglioramenti.
L’età è una variabile da considerare: i
migliori risultati si hanno per bambini che
cominciano il trattamento a due o tre anni.
La spiegazione viene dalle neuroscienze:
un cervello giovane possiede un’elevata
plasticità e, quando le connessioni tra i
neuroni sono più modificabili, l’interazione
con l’ambiente, ottenuta attraverso un
intervento intensivo precoce, riesce a
migliorare il “destino” del futuro adattamento
alla realtà.

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