mercoledì 5 marzo 2014

Il paziente con patologia cardiaca

di Renato Lo Mauro, Cardiologo, U.O. di Cardiologia Ospedale "V. Cervello"

     Il motivo per cui una persona si trova in Ospedale è spesso sintetizzato in formule ufficiali, trascritte e ripetute nelle intestazioni delle cartelle cliniche, nei fogli di dimissione e nelle schede amministrative. 

Una cosa che sfugge è, però, il significato personale di quella diagnosi o di quei sintomi, al di là dei termini tecnici. 

Faccio un esempio. Lavorando in un reparto ospedaliero di cardiologia, sappiamo cos'è l’angina pectoris: sintomo costituito da dolore al centro del petto, che sopravviene per lo più dopo uno sforzo, in chi soffre di una malattia coronarica causata da una patologica deposizione di grassi nella parete dei vasi, fino a restringerli alterando in essi il flusso di sangue. Così abbiamo coperto, più o meno, il campo della clinica (diagnosi), dell’etiologia (causa) e della fisiopatologia (meccanismo) della malattia. In ospedale si imposterà un trattamento (terapia) con norme igieniche, farmaci o interventi meccanici. 

Di fatto, si presenta in ospedale un uomo di paese, Pasquale Libasci (nome di fantasia), non più giovane (sessanta – settanta anni), sentitosi male mentre lavorava in campagna (è la stagione della raccolta delle olive), è andato dal medico di famiglia che gli ha prescritto una medicina, con cui è stato peggio. Verosimilmente, il signor Pasquale soffriva di una malattia cronica senza saperlo: il primo sintomo è stata una crisi di angina pectoris; la terapia descritta ha avuto un effetto collaterale. 

Potremo scrivere tutto questo e passare poi alla prescrizione terapeutica, ma ci sfuggirebbe il “significato personale” della malattia. Bisogna lasciar parlare il signor Libasci della sua campagna, della raccolta delle olive, del suo paese, delle sue impressioni sul medico curante e l’ospedale, del desiderio di ritornare alla sua vita. Bisogna conoscere anche la sua famiglia, che lo ha accompagnato in ospedale e lo accudisce come può. 

Alla storia clinica ed ufficiale della malattia si aggiungerebbero informazioni, non strettamente tecniche, ma utili per “gestire” il problema. Il signor Libasci ha diritto di essere informato della sua condizione in termini per lui accessibili e di vedere il suo problema affrontato, nei limiti del possibile, in modo per lui accettabile (forse consentendogli un rientro a casa per la raccolta delle olive). Ma questo “per lui” verrà fuori solo dalle informazioni del secondo tipo, che potrebbero essere raccolte dai volontari

Collaborare con gli operatori sanitari per una rappresentazione del caso (cioè della persona malata) significa, in fin dei conti, contribuire a dare un’assistenza migliore al signor Libasci.

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